Quando
qualche anno fa conobbi il blog Dustyroad di Bartolo Federico,dapprima rimasi
impressionato
dalle bellissime
immagini,che assolutamente riflettevano un mondo che mi apparteneva.
Questa sensazione di appartenenza si rafforzò nel leggere i racconti. Se ci
ripenso,credo di poter dire che
già da
allora cominciavo ad elaborare delle “mie” immagini.
Trovo originale e coinvolgente il suo modo di
raccontare momenti, spesso intimi e
dolorosi,di vita vissuta, con frammenti di sogni e pezzi di canzoni e/o poesie di Bob Dylan,Van
Morrison,Baudelaire,Rimbaud,di Blues.
Il
mescolamento di generi,senza una evidente capacità narrativa,rischia di diventare
una roba indigesta e supponente .Non è il caso di Bartolo,che per una
misteriosa alchimia,riesce a rendere lineare e omogeneo il racconto.Non è mai
banale e,soprattutto non ricerca il consenso. Appare evidente il bisogno
primario di raccontare senza finzioni questi luoghi dell’anima.
Grazie all’idea di Black,da me subito abbracciata,inizia una
collaborazione che,se il buon giorno
si vede dal mattino,si preannuncia interessante e
coinvolgente. Inter-Agiremo con testi e disegni.
Ribadisco la mia totale stima e gratitudine al blog “Come un
Killer Sotto il Sole”per aver dato al mio
vecchio e polveroso “guardaroba musicale” una ventata di
rinnovamento e di approfondimento.
Mi piace molto il modo di scrivere di
Black,asciutto,essenziale,senza fronzoli ma arricchito di interessanti
aneddoti.E il tutto condito con un filo di leggerezza che a volte dichiara
esplicitamente i suoi gusti e a volte li lascia intravedere.Senza mai assumere
toni assolutisti e definitivi,ma lasciando aperto a differenti idee e
gusti.Quindi a maggior ragione,conoscendo il suo apprezzamento
per i miei lavori,ho accettato
con entusiasmo.Bene,adesso se volete,buona lettura-visione-ascolto.
THE
SOUND OF SILENCE – SIMON & GARFUNKEL
Una canzone che come un filo sottile lega due dei momenti più bui della storia
americana e di tutta l’umanità. Una canzone che è in grado di raccontare il
silenzio
e il dolore, la tragedia universale di un
popolo ma anche quella intima e
privata di una generazione. Una canzone che si veste di dolcezza e di melodia, ma
che nasconde un corpo martoriato di ferite. Questa è la storia di The Sound Of
Silence, questa è la storia di parole che “caddero come gocce di pioggia,
e
riecheggiarono, nei pozzi del silenzio “.
Il 23 novembre del 1963, il presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald
Kennedy, viene assassinato mentre sfila per le strade di Dallas. L’esecutore
materiale
dell’omicidio é Lee Harvey Oswald, un sociopatico con simpatie comuniste, che
verrà ucciso a sua volta qualche ora dopo. Varie teorie del complotto sostengono
che non abbia agito da solo e che l’attentato fosse stato ordito dalla mafia
con
l’appoggio della Cia. Comunque sia andata, con Kennedy non muore solo un grande
uomo, ma vengono ghermite, mentre spiccano il volo verso un futuro migliore, le
speranze di un’intera nazione. L’America si ferma, piange il suo presidente,
ammutolisce di fronte a una tragedia inaspettata e immensa. Leggenda vuole che
sia
proprio in questo clima di cordoglio, smarrimento e doloroso silenzio che, nel
febbraio del 1964, Paul Simon metta mano per la prima volta a quella che
diventerà la sua canzone più famosa, The Sound Of Silence.
L’11 settembre del 2001, diciannove terroristi di Al
Qa-ida dirottano quattro
voli civili, due dei quali vengono fatti schiantare contro le torri gemelle del
World Trade Center di New York, provocando circa tremila vittime. Gli esecutori
materiali della strage vengono tutti identificati, anche se varie teorie del
complotto sostengono che dietro l’attacco ci sia un piano elaborato dall’ala più
conservatrice della politica americana (i Theocon) in combutta con la Cia.
Qualunque
sia la verità, l’America, e così tutto il mondo occidentale, percepiscono per la prima volta, in modo eclatante, che una guerra (non convenzionale, ma subdola
e vigliacca) è davvero in atto e che nessuno sarà, a nessuna latitudine, mai
più
al sicuro. Oggi la ferita è ancora aperta, la paura accompagna,
sottotraccia,
i nostri giorni, e un silenzio irreale, ancora ci stordisce ogni volta che le
immagini di quello schianto tornano innanzi a nostri occhi. E’ il silenzio del
terrore, quel vuoto di stupore e incredulità che anticipa di qualche secondo
un
grido di disperazione.
Dieci
anni dopo la strage, durante la celebrazione del 10° anniversario
dell’attentato, Paul Simon, accompagnato dalla sola chitarra acustica, canterà
nuovamente The Sound Of Silence, la canzone scritta quarantasette anni prima in
circostanze altrettanto tragiche. Lo farà proprio lì, a Ground Zero, dove la
ricostruzione oggi è quasi terminata, ma quei morti, quel dolore, le lacrime e la
paura
restano la muta voce di un’umanità violentata. Il suono del silenzio.
Una canzone, due tragedie, il senso d’impotenza e solitudine di chi si ritrova
a
fare i conti con l’oscurità e la barbarie (“Salve oscurità, mia vecchia amica /
ho ripreso a parlarti ancora perché una visione che fa rabbrividire/ dolcemente
ha lasciato in me i suoi semi mentre dormivo/ e la visione si è insinuata nel
mio cervello/ e ancora persiste nel suono del silenzio”). Ma anche una
riflessione
e poetica sull’animo umano, sul senso di smarrimento dell’individuo quando si
muove in un contesto sociale, sull’incapacità di comunicare agli altri e di farsi
comprendere ( “…e nella luce pura vidi migliaia di persone, o forse più
persone
che parlavano senza emettere suoni persone che ascoltavano senza udire”),
sull’afasia che ci coglie nel momento di raccontarci, di esprimere la nostra
bellezza
interiore (“persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantato” ).
The
Sound Of Silence apre però anche una nuova stagione musicale: il mondo sta
cambiando e Simon & Garfunkel danno voce a quella parte di gioventù che, da
un lato, non si riconosce più in un rock che si sta evolvendo nella sperimentazione
e
che sta perdendo lo slancio ingenuo degli inizi, e che, dall’altro, non riesce
nemmeno a identificarsi nella canzone di protesta di Bob Dylan e Joan Baez. In tal senso, il folk del duo newyorkese percorre una strada tutta interiore, punta
all’intimismo dell’ascoltatore, che coinvolge con un poetico gioco di ossimori (il titolo della canzone ne è un esempio brillantissimo) e simbolismo (il
silenzio in contrapposizione al rumore del rock’n’roll e dello slogan politico), in
cui
a fronte di melodie calde e avvolgenti, vengono proposti testi che raccontano il disagio esistenziale e la sofferenza interiore.
La canzone viene pubblicata per la prima volta, e in versione rigorosamente acustica, su Wednesday Morning,3 A.M., esordio datato 1964, di cui non si
accorge
nessuno o quasi (il disco venderà meno di 2000 copie). Paul Simon e
Art
Garfunkel,completamente sfiduciati, mollano il colpo e si separano.
Fortunatamente per loro, alla Columbia, casa discografica che ha prodotto il disco,
lavora un certo
Tom Wilson, lo stesso che aveva appoggiato e favorito la svolta
elettrica di
Dylan. Wilson prende la registrazione acustica del brano e vi aggiunge
gli
strumenti elettrici : chitarra, basso e batteria. E ripubblica il singolo,
senza nemmenoavvertire Paul e Art. The Sound Of Silence entra così in classifica e
lancia
verso il successo la coppia Simon & Garfunkel, che in realtà, sulla carta,
non
esiste più. Leggenda vuole che Paul Simon, che nel frattempo si trovava
in giro perl’Europa a suonare in piccoli club, apprenda la notizia dell’exploit di
The
Sound Of Silence cinque minuti prima di salire sull’anonimo palco di un
localino diCopenaghen. Il tempo di fare le valige e ritorna in America, per iniziare
una
nuova, e insperata, stagione di successi.
La canzone fu poi ripubblicata su Sounds Of Silence del 1966, album della
definitiva affermazione, e fu inserita nella colonna sonora de Il Laureato (1967),
che porta il duo newyorkese al primo posto delle classifiche americane. Da lì in
avanti, usciranno altri due bellissimi dischi, anche se ormai l’intesa artistica
e
personale tra Simon e Garfunkel è ai minimi termini. La fascinazione e l’incanto di Bookends (1968) e di Bridge Over Trouble Water (1970) verranno infatti
sovrastati dal “rumore” incessante di furibonde litigate, che portano allo
Questo è uno scorcio del terrazzo di una mansarda dove ho
vissuto per quasi 30 anni.Non potrò mai
dimenticare la mia vecchia casetta per tanti piccoli motivi che poi sono una
vita…ma non mi manca,soprattutto perché la nuova casa mi ha permesso (finalmente)
di avere uno studio e poi è “fresca” d’estate e “ tiepida” d’inverno,non so chi
ha presente il caldo estivo in una
mansarda mal coibentata a Palermo…non esiste climatizzatore …a seconda delle
stagioni mi capitava di veder passare carovane di cammelli o famiglie di
pinguini … comunque posso affermare che è impagabile avere “per tetto un cielo di
stelle” e godere di una vista su una gran parte della city da un albero di 30 piani.Certo,in mancanza di
una villa alla ”giusta” distanza dal mare circondata da alberi,fiori,uccellini …
mais
ce n'est pas possible